Ho iniziato a fotografare in analogico, quando la camera oscura era un luogo intriso dagli odori degli acidi e lo sviluppo del rullino era fatto nel buio più assoluto, quando erano le tue mani che guidavano l'avvolgimento del negativo e la scelta della carta apparteneva al risultato inseguito; ci volevano giorni, ore di trepidazione nell'attesa di vedere il riscontro dei tuoi calcoli sulla luce. Ho studiato per fare tutto questo, ho guardato i grandi autori fotografici come degli esploratori della terra di frontiera.

Poi è venuta la realtà della vita e la sospensione di tutto quello che avrei potuto diventare, è successo ed indietro non si può tornare.

Riprendere è stato faticoso, entrare nel mondo dell'analogico non è stato semplice, ho iniziato a scattare perché ne sentivo la necessità, con una piccola macchina ho iniziato a guardare il mondo circostante e a cogliere quello che solleticava la mia curiosità, un po’ per gioco e un po’ per me stessa.

Con il tempo sono riemersi i concetti fotografici appresi e studiati, sono usciti come guidati da una mano intima e profonda, ho capito di aver perso un treno e che dovevo accontentarmi di salire su una carrozza e sperare di fare qualcosa di sufficientemente buono.

Ho comprato la reflex, ed ho iniziato a scattare e a sviluppare, mi resta ancora tanto da imparare.

Nel frattempo si cammina nella vita, presi da mille situazioni e da tante cose, si procede; si scatta foto, qualcuna ci piace e magari piace anche agli altri. Finché un giorno mi sono chiesta, seriamente, cosa volevo comunicare con la mia fotografia, qual'era il messaggio che volevo lanciare nel mondo globalizzato e virtuale, a chi volevo parlare e come lo volevo dire. Un immagine ha un grande potere comunicativo, può modificare un pensiero collettivo e può diventare un espressione sopra le righe usurate di una società, lo scatto fotografico è un mezzo con il quale, spesso, ci rappresentiamo e formiamo l'evoluzione di un pensiero collettivo. Sapere cosa stiamo dicendo e a chi lo stiamo dicendo potrebbe fare la differenza per il domani a cui stiamo andando incontro. Inoltre è opportuno dare un valore al nostro messaggio lanciato nell'etere, sui social, nel virtuale mondiale dove l'immagine prodotta arriva sui personal computer lontani centinaia di miglia e a cui dal video penetra nelle emozioni e viene ricordata, codificata e abbinata ad un concetto o ad una serie di concetti. Un immagine consente di far vibrare corde dentro l'anima di ognuno di noi, i colori ci parlano, il bianco e nero ci emoziona, gli sguardi raccontano  direttamente al nostro cuore, i gesti ci fanno sentire affini e ogni cosa dentro l'immagine ci richiama qualcosa d'altro, sentiamo i nostri sensi che dialogano direttamente con la nostra mente intima in uno scambio vibrazionale. Forse non tutte le foto, ma solo alcune.

Ho avuto la sensazione di avere tra le mani la possibilità di dire delle cose e, forse, la supponenza di essere ascoltata.  Ho deciso che era venuto il momento di trovare un progetto fotografico che mi consentisse di parlare agli altri e con gli altri. Avrei potuto inseguire il paesaggio perfetto o il fulmine sensazionale, raccontare il quotidiano o cacciare animali, parlare di viaggi o di solitudine dell'emarginazione oppure parlare semplicemente di donne. Non le donne patinate, neppure quelle che sembrano delle Dee, sicuramente non donne oggetto ma soggetti reali, quelle che incontri al supermercato, quelle che lavorano e che corrono dietro i loro sogni tutta la vita, quelle che sono spettinate e deluse, quelle sole ma vive; le donne così come sono, belle e vere, quelle che combattono tutti i giorni affinché la quotidianità sia replicata, quelle che crescono figli e vengono abbandonate, quelle over ormai forti come il vino e le donne che sorridono perché sperano nel futuro.  

 

Mi ero accorta che, spesso, le donne vengono rappresentate diversamente da quello che sono, devono apparire a tutti i costi soprattutto in un immagine fotografica, anche se con rispetto e dignità, diventano quell'immagine pubblica che rende il merito di sentirsi invidiata e accettata, che fa sentire corteggiata. Questi non sono sentimenti negativi, fanno parte della nostra autostima, e sono legittimi.

Oggi la donna ha bisogno di essere conosciuta più come individuo che come oggetto o icona, per completare il suo percorso di parità e iniziare un percorso sociale dove venga identificata più come fruitrice di servizi per la famiglia, lavoratrice e in carriera, che oggetto ammaliatrice e tentatrice. Porre l'accento sul suo aspetto quotidiano ha il significato di renderle valore e spessore sociale; le donne non sono tutte giovani, ad un certo punto e per fortuna diventano over e continuare a volersi mostrare senza veli può essere visto come un simbolo dissacrante, ma restiamo oggetti che non vogliono perdere il potere sessuale, invece nella realtà diventiamo più cerebrali, più sorridenti e molto più sicure della strada che vogliamo percorrere.

Essere se stesse significa mantenere l'essenza femminile in un contesto variabile, se vogliamo emergere non dobbiamo allinearci al modello maschile. Se desideriamo parlare come persone attive nell'agorà pubblico dovremmo accogliere la nostra intimità femminile e renderla emozionabile.

Siamo un guazzabuglio esplosivo di competenze, siamo molto più spesso quell'insieme realistico di capacità che aumentano il valore di questa umanità, che possono e devono fare la differenza sostanziale nel domani di tutti noi.

E' una tematica a cui lavoro da parecchio tempo, anche nel contesto della scrittura. Era quasi inevitabile che diventasse un mio progetto fotografico.

Inizia quindi il progetto, Così come siamo … donne!

 

 

Nasce dall'esigenza di mostrare il lato più realistico del genere femminile, siamo prima di tutto delle persone che, tutti i giorni, inseguono i loro sogni e replicano la quotidianità; il lavoro, l'amicizia, la solitudine, l'impegno, la sofferenza, l'amore, la passione, passano attraverso un immagine stereotipata della donna, una produzione di sopravvivenze culturali che ci hanno inseguito per secoli; un immagine a cui noi stesse cerchiamo di assomigliare, a dimostrazione che un virtuale burqa viene indossato. Sempre le stesse, sempre noi, che produciamo benessere e collaborazione, noi il valore aggiunto in un impresa e nella politica, noi persone dai ruoli infiniti e con la procreazione come bagaglio immenso di competenze e di affetto, noi che continuiamo a correre con il sorriso e la testa piena di problemi, noi che viviamo per i nostri figli e non per gli amanti, noi che sentiamo le anime della vita, che percepiamo i profumi delle stagioni, noi che siamo e che non amiamo apparire, questa anima ha pensieri creativi, tanto da cambiare il mondo ma non vogliamo essere vincolate al passato perché il futuro ci appartiene.

 Se guardo intorno a me vedo donne impegnate nella vita e nel mondo lavorativo, con un intensità e con una grinta impressionante; mentre l'immagine che emerge dalle fotografie e dai contenitori televisivi è di una donna sempre patinata e sopra le righe, una proiezione che deve dimostrare di essere desiderio nei confronti degli altri, un po' invidiata e sensazionale, perfetta e sempre giovane o al massimo giovanile, una costruzione che non ha mai rispecchiato il nostro sentire, da cui ci dobbiamo allontanare per riuscire a centrarci come genere, "Così come siamo .... Donne!"

Siamo persone con le nostre imperfezioni, vitali e maledettamente stanche di dover dimostrare tutte le volte che possiamo entrare nell'agorà pubblico senza doverci mistificare da sensuali Dee.

 

 

Siamo persone calate in un insieme di ruoli, abbiamo sempre tante maschere da rappresentare dentro un solo minuto di opere compiute che facciamo fatica a connetterci con tutto, pur avendo ricevuto il dono di una mente multitasking e di aver sviluppato un intelligenza emotiva importante, siamo estremamente frammentizzate e questo per buona parte della nostra esistenza; poi arriva il momento in cui l'infinita cura viene sospesa e libere possiamo affrontare ancora una rinnovata vitalità in molti campi, ma  né noi come genere e neppure la società ne abbiamo cultura. La donna nel corso dei secoli ha sempre avuto vita breve, a dire il vero non solo lei, difficilmente una donna riusciva a superare la menopausa e nel caso fosse successo, aveva un invecchiamento evidente e molto limitativo. Dal secolo scorso invece abbiamo la possibilità di invecchiare bene e lungamente, per la donna è una nuova opportunità, nel momento in cui il suo ritmo di vita è uguale ad un ritmo maschile, pertanto diventa possibile una forma di antagonismo con l'egemonia maschile.

 

La parte più difficile è stata riuscire a coinvolgere le donne a farsi ritrarre e metterle a proprio agio davanti ad un obbiettivo fotografico. Non tutte superano la paura ancestrale di vedersi immortalate prive di artifizi che edulcorano la loro immagine. Quelle che hanno accettato si sono trovate a lavorare come modelle per un giorno scegliendo la location e collaborando con me nella preferenza dello scatto.

Metterle a loro agio è stato un mio compito, parlare e raccontarsi durante la lavorazione è stato in primis il motivo che le ha portate a sentirsi tranquille e proprietarie del momento.

Ho iniziato con poche foto, una mia amica si è prestata con un po’ di scetticismo; ho scattato senza trucco, così presa in una quotidiana mattina, si è piaciuta. Un banale trampolino di lancio, quelle prime foto mi hanno convinto che si poteva fare.

Si sono succeduti anche scatti rubati, qualcuna ha preferito ricevere un portfolio, altre si sono intenerite ma quasi tutte hanno ricevuto una maggiore sicurezza in se stesse, si sono sentite più belle e più vere.

 

Oggi il progetto è in evoluzione, sto cercando di rappresentare la donna nelle sue peculiarità di genere, il primo è stata la solitudine, ho proposto il tema e hanno scelto un luogo adatto, si sono messe in gioco con un pizzico di leggerezza; il risultato le ha strabiliate, non credevano che sarebbe stato possibile. Il progetto non è solo stato apprezzato dalle donne che collaborano negli scatti ma anche da coloro che lo  hanno potuto guardare, video e fotografie sono state comprese, i commenti sono sempre un meraviglioso incontro con altre donne che riconoscono il messaggio e ne sono compiaciute.

Scatto con una vecchia Canon EOS1000, sento il bisogno di nuovi obiettivi e una macchina con maggiori funzionalità, ma per il momento restiamo fedeli.

Tutto quello che ho imparato nel corso di fotografia ad oggi l'ho dimenticato, ho appeso al chiodo la tecnica ed ho aperto gli occhi ed il cuore, ho guardato oltre e ho scoperto che sono una donna che osserva il mondo.

 Un Koan Zen dice:

                  " Se incontri per strada un Buddha, uccidilo!"

 

poiché un giorno, quando ormai sarai maturo, devi distruggere la rigida immagine del maestro e il proprio ruolo di allievo per camminare sulla propria strada con le proprie gambe.