Il cielo era sereno, l’aria profumava di primavera ed una leggera brezza le scompigliava i capelli. Era piacevole salire sulla collina con il vento, si sentiva meno la fatica, ed anche se era così penoso quel calvario di strada ed il cuore si riempiva, sempre, di sconforto e d’angoscia; l’aria  faceva sentire tutto meno opprimente.  Carlotta aveva scelto di seppellire il figlio sulla piccola collinetta che dominava la città; un cimitero semplice e molto piccolo. Sullo stile dei vecchi cimiteri di campagna, dove non si pratica il rituale dei grandi cimiteri in cui il sonno  dei morti è disturbato per far posto ad altri che muoiono, dove il continuo via vai della gente ed il loro chiacchierare volgare e poco appropriato genera un sussurro di rumore inaccettabile per colui che deve trovare pace. Nessuno doveva disturbare il suo sonno, adesso che poteva finalmente riposare. Le era venuto così spontaneo portarlo lassù che al momento non aveva capito perché lo faceva, ma poi con il tempo aveva compreso che la fatica per salire significava imporre a tutti una parte di calvario che era stata la sua vita.

 La brezza che in quei luoghi si poteva trovare anche in primavera portava con sé pace e tranquillità.. Ma come fare a riempire un vuoto così grande, pensava Carlotta, come può la vita essere così avida dare a chi tanto e a chi poco; le riempivano la mente sempre dei perché a cui Carlotta non sapeva dare una spiegazione. Intanto saliva sulla strada, saliva e pensava, saliva e pregava, anche se non voleva pregare perché per lei non c’era più un Dio che amava le sue creature, eppure pregava lo stesso, senza accorgersi invocando il nulla, lasciando che il nulla le riempisse l’anima, e saliva fino al cimitero. Per fortuna che c’era questa brezza, un filo di vento caldo e questo profumo di primavera, e lei diventava vento, chiudeva gli occhi, respirava con calma, si fermava lungo il sentiero laterale alla strada e apriva i suoi sensi ad ascoltare il rumore delle foglie e degli insetti, lei era tutte queste cose. Lì ferma sentiva il suo cuore divenire leggero e il suo dolore così pungente, così profondo sembrava svanire e divenire una cosa unica con il resto del creato. Respirava così forte da sentire il suo respiro che entrava e usciva dal suo corpo, tanto da farsi riempire da questa sensazione. Percepiva l’esterno e l’interno di se stessa, ed impostava un dialogo con il suo bambino. Suo figlio la aspettava tutti i giorni, come un angelo fa per eccesso d’amore, sapeva che non era ancora venuto il momento per abbandonarla.

 Si sedevano sul muricciolo che cingeva il cimitero e come tutte le discussioni fra un angelo ed un umano avvenivano tramite lo spirito. Carlotta non riusciva sempre a percepire le risposte ma sentiva la sua vicinanza e il calore della sua presenza. Si rivolgevano verso la città, verso il brulicare della vita frenetica e superficiale, dietro alle loro spalle la morte silenziosa ed unica, con la natura in una tiepida cornice ad una realtà incomprensibile.

Sotto di loro si poteva vedere la stazione ferroviaria con tutto l’andirivieni dei treni, passeggeri e merci; un altro motivo perciò aveva scelto quel posto, a suo figlio piacevano i treni, da grande avrebbe voluto fare il capostazione. Luigi sognava di salire su un treno, fare il macchinista o il capotreno e di poter viaggiare e conoscere posti nuovi. Ti sei ammalato così presto che anche quel poco che ti è stato concesso di vivere non ti sei spostato da questa città. L’unico viaggio che hai fatto a Roma, ti ha fatto felice, hai gioito, hai goduto di andare su un treno veloce, hai visto il mare e le barche, hai visto così tante cose da sentirti appagato solo di questo. Ma è stato un viaggio della speranza che non ha dato nessun frutto, anzi ci ha fatto comprendere che di speranze non ne avremmo mai avute. Tu, Luigi, eri felice e questo che mi era piaciuto ricordare di quei momenti.

Mio Dio quanto tempo è passato, un giorno va appresso all’altro, ed il tempo scappa via, Carlotta si rende conto che sono passati anni dalla morte di suo figlio, e le stagioni sono ritornate uguali e puntuali allo scadere del loro tempo. Com’è può essere tutto uguale, come può crescere un filo d’erba o nascere un conigliolo oppure un altro figlio, e come può il sole sorgere tutte le mattine, e tu invece, non ci sarai mai più.

Carlotta sente farsi il vuoto sente un pozzo nel suo cuore così profondo da non riuscire a percepire la sua fine. Sospira così forte da far trasalire il suo angelo seduto accanto a lei.

 Non è possibile, madre, tu devi lasciarmi andare io appartengo adesso al vento ed alla pioggia, non riesco a sopportare che tu soffri ancora tanto. Sono un angelo ed ascolto la tua anima, ascolto il dolore di tutti quelli che ho lasciato, vicini e lontani, e posso solo aspettare che il tempo vi aiuti a trovare gli strumenti per dipanare questo dolore.

Carlotta sistema i fiori nel vaso che la suocera le ha dato di mattina,

 Erano fiori semplici, poneva molta attenzione ai gesti ed alla disposizione, avevano il significato dell’amore, di quell’amore che solo una madre seppe imprimere nei suoi gesti nei confronti di un figlio. Con la mano passava sopra l’edera che aveva piantato la primavera prima, era cresciuta, sistemava i germogli in maniera che copriranno tutta la tomba, così se un giorno non riuscirò a salire fin quassù avrai un manto verde che ti coprirà e chi passerà di qua dovrà ammirare la tua coltre verde.  Adesso che arrivava la primavera avrebbe potuto vedere il cimitero anche da più in alto. Ogni tanto, durante la stagione calda, Carlotta saliva oltre il cimitero, su per la collina e trovava riparo dalla calura sotto un grande albero. Da lassù riusciva a vedere la tomba di suo figlio ed assaporava, contemporaneamente, la visione di quello che era piaciuto a Luigi.

 Carlotta cercava nei momenti di quotidianità di ritrovare il colore, la forza e la passione per la vita; ma ancora non riusciva a scorgere niente che l’aiutasse a dipanare una simile matassa. Si sentiva sola, e vuota, l’unica persona che l’aveva amata e fatta sentire importante era sotto quei due metri di terra. In fin dei conti domandava pace anche per se stessa, voleva concludere molti discorsi d’angoscia e d’emotività troppe volte chiusi per dovere o per inconcludenza. Come si può spiegare agli altri la propria vita, le motivazioni di gesti che sono stati frutto d’antiche polemiche. Le paure nate nell’infanzia e protratte poi nell’adolescenza; aspettative gigantesche da parte di una madre, che aveva più bisogno di una guida nella vita che di una figlia. Sentirsi incompresa nei gesti di disponibilità che generosamente ho sempre offerto agli altri. Ma questo succede solo a me oppure è uguale per tutti? Eppure giorno dopo giorno, senza fretta, inconsapevolmente, trovava dei piccoli e banali motivi per continuare a vivere e iniziava a dipingere la sua vita di una tinta alla volta, e comparivano timidamente colori pastello tra il celeste e il rosa.

 

Carlotta lasciò il cimitero e si diresse verso la città, doveva riprendere il lavoro.